Beato Bartolo Bonpedoni, il «Giobbe della Toscana»
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Isolato, ma presto conosciutissimo, per il male che ha e per il suo modo straordinario di viverlo, dando conforto anche ai sani. Lo chiamano "il Giobbe della Toscana': Non fa miracoli: è un miracolo, personalmente, con la letizia francescana degli occhi e della parola, mentre il corpo si va disfacendo. Dopo la morte lo si venera come santo. Sepolto a San Gimignano nella chiesa di Sant'Agostino, gli verrà innalzato uno splendido sepolcro, opera di Benedetto da Maiano. Approvato nel 1498, il suo culto sarà confermato nel 1910».
Il priore di Bose ha presentato con queste parole il «Giobbe della Toscana». Qui si è radunata una comunità di fratelli e di sorelle, come è la nostra composizione a Bose, presieduta da un priore che prestava servizio ai più poveri ed emarginati da tutti, i lebbrosi. In una Regola del 1250 Ildebrandino, che era in quel momento il priore della Pieve, raccomandava ai fratelli e alle sorelle, dando loro una regola: «vivano in perfetta fraternità, carità, pazienza, preghino alle ore determinate e vivano in modo da essere una vera fraternità del Signore». Ed è proprio in questa casa che giunge Bartolo, Bartolomeo Buonpedoni, che morirà qui nel 1300. Bartoio era entrato in un monastero benedettino a San Vito di Pisa al seguito di un anziano monaco santo di cui fu discepolo, in quel monastero di Pisa esercitò la cura dei malati, ma poi a cinquant'anni si ammalò di lebbra e come tutti i lebbrosi dovette lasciare il monastero. Ma venne qui in questa comunità, a Cellole, dove si curavano i lebbrosi per curare - lui lebbroso - i lebbrosi, fratello trai fratelli e con se ebbe un discepolo, anche lui santo, san Vivaldo.
Trascorse gli ultimi anni della sua vita come capo di questa piccola comunità e rettore della Pieve. Conosciutissimo, venne chiamato per la sua pazienza «ilGiobbe della Toscana», venne proclamato santo e il suo culto è stato confermato ancora ne lsecolo scorso da san Pio X. Un giorno accolse un lebbroso, un pellegrino lebbroso e, come a tutti, gli lavò i piedi in quella vasca che si trova nel chiostro. Ma mentre lavava i piedi, lui lebbroso sentì che colui a cui lavava i piedi non era soltanto un lebbroso, e in quel momento il lebbroso sparì alla sua vista, e lui capì che aveva lavato i piedi al Signore, quasi a realizzare le promesse del Giudizio: «ero lebbroso e mi avete curato». Un'icona dipinta dalla nostra comunità ha voluto ricordarlo qui. Ec'è la scena in cui egli sta lavando i piedi a Cristo, Cristo lebbroso e lui lebbroso, e non abbiamo dimenticato che nella Vulgata di sanGerolamo, nel canto del servo di Isaia 53 (era d'altronde la versione ufficiale della Chiesa latina), Gerolamo ha avuto coraggio di tradurre: «vidimus eum quasi leprosum, abbiamo visto il servo del Signore come un lebbroso».
A cura della Redazione di Toscana Oggi
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