The Lord's Transfiguration
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E noi in questa notte siamo qui perché nihil operi Dei praeponimus (cf. RB 43,3), non preponiamo nulla all’opus Dei, allo stare davanti a Dio, che è credere, adorare, confessare suo Figlio. Opus Dei è l’opera per eccellenza che ci è stata richiesta da Gesù, quando ha avvertito chi voleva seguirlo: «Questa è l’opera di Dio: credere in colui che egli ha mandato» (Gv 6,29). Noi in questa notte contempliamo Gesù trasfigurato, attraverso la parola del vangelo che lo narra e lo testimonia. Abbiamo ascoltato il racconto secondo Marco che inizia solennemente: «Amen, in verità vi dico: vi sono alcuni, qui presenti, che non gusteranno la morte prima di aver visto il regno di Dio venuto con potenza» (Mc 9,1). Gesù parla alle folle e ai discepoli, ma fa un annuncio che opera una distinzione: tra i suoi ascoltatori alcuni saranno beneficiari di un’esperienza misteriosa, diventeranno nella fede partecipi di un mistero prima di morire. Nei versetti precedenti Gesù ha parlato della sequela esigente dietro a lui, dicendo: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, smetta di conoscere soltanto se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mc 8,34), ma ora promette che qualcuno di quelli che lo seguono vedrà il regno di Dio non solo alla fine dei tempi, ma già venuto nella sua forza; Gesù promette che alcuni parteciperanno al suo mistero, alla sua identità, alla sua vita. Non tutti, ma solo alcuni…
Ed ecco l’adempimento di questa promessa: «sei giorni dopo» (Mc 9,2) – dunque nel settimo giorno, annotazione preziosa che fa di quel giorno anonimo un giorno sabbatico, il giorno di Gesù, il giorno del Signore – Gesù sceglie e prende con sé tre discepoli, Pietro, Giacomo e Giovanni, i primi tre discepoli, i discepoli più intimi di Gesù, quelli che egli aveva scelto perché stessero con lui in momenti decisivi della sua vita. Sono tre, scelti dalla comunità dei Dodici, sono persone identificate nei vangeli per professione, temperamento: sono reali membri della comunità. Gesù «li porta in disparte, su un alta montagna», il luogo della rivelazione di Dio; e il vangelo sottolinea che li porta «essi soli» (Mc 9,2).
Ed ecco un’esperienza di fede, un’immersione nel mistero di Gesù. Chi è veramente Gesù? Chi è colui che essi finora hanno seguito come rabbi e profeta? Chi è costui e dove va? Certo, i tre non vedono nulla se non con «gli occhi del cuore» (Ef 1,18), con gli occhi della fede. Sono portati sul monte da Gesù e da lui sono sprofondati, immersi nel suo mistero; alla luce della fede sono introdotti nella conoscenza di Gesù. Vedono Gesù altrimenti, in altro modo: Gesù «fu trasfigurato, cambiò forma davanti a loro» (Mc 9,2). E così è percepito altrimenti dai tre discepoli, è percepito nella luce, nella luminosità delle sue vesti (cf. Mc 9,3). Tutto è descritto con un linguaggio al limite dell’impossibile, tutto si cerca di narrare, eppure l’evento resta inenarrabile… Pietro, Giacomo e Giovanni avevano sempre visto, ascoltato, toccato un uomo nella sua carne umana, ma ora percepiscono in quella luminosità che Gesù è anche altro. Mosè parlando con Dio aveva ricevuto un volto luminoso (cf. Es 34,29), ma qui chi risplende nella sua stessa carne è Gesù stesso.
E la percezione di Gesù raccontata visivamente si approfondisce: i tre vedono accanto a Gesù «Elia e Mosè che parlano con lui» (Mc 9,4). Gesù sta nella comunione dei santi dell’antica alleanza, dialoga con i santi profeti, è vivente nel mondo di Dio; ed Elia e Mosè pure viventi, gloriosi accanto a Gesù dicono la concordanza, la continuità tra la Legge, i Profeti e il Vangelo. Sì, nella trasfigurazione una è la fede, uno è il piano di salvezza, una è la Parola di Dio: uno dunque dev’essere il popolo di Dio, e Gesù è colui che realizza, porta a compimento la Legge e i Profeti che parlavano di lui, che videro il suo giorno (cf Gv 8,56) e che ora testimoniano la sua missione di inviato da Dio.
Pietro reagisce a tale percezione, ma di fatto non sa quel che dice (cf. Mc 9,6). Dice: «Rabbi, è bello stare qui» (Mc 9,5), reazione troppo immediata. Pietro, l’impulsivo che non sa aspettare, chiama Gesù rabbi, maestro, e gli chiede di prolungare quell’esperienza luminosa, dicendosi disposto a mettere in piedi tre tende per Gesù stesso, Mosè ed Elia. Ma questa reazione di Pietro è interrotta dalla rivelazione di Dio. Quello che finora i tre hanno percepito è solo un preambolo. Ecco dunque l’azione e la voce di Dio. Una nube, la nube della Shekinah, della Presenza di Dio, la nube che è lo Spirito santo, quella nube che stava sul Sinai e che ha incontrato Israele (cf. Es 24,16-17), che copriva la dimora (cf. Es 40,33-34), che prese possesso del tempio (cf. 1Re 8,10-12)… ora viene su Gesù. Ecco dov’è Dio, ecco la Presenza di Dio nel mondo: è Gesù! Questa nube copre anche i discepoli e da essa viene la voce del Padre che presenta Gesù: «Questi è il mio Figlio, l’amato: ascoltatelo!» (Mc 9,7). Gesù è chiamato dal Padre «Figlio amato», ed è a lui che da quel momento va rivolto l’ascolto; lo Shema’ (cf. Dt 6,4-5) diventa ormai: «Ascoltate lui, il Figlio». Nella nube ci sono Gesù, Mosè, Elia e i tre discepoli: l’Antico Testamento (Israele), Gesù e il Nuovo Testamento (la chiesa). Questa è la partecipazione al mistero: nella nube, nella Presenza di Dio, partecipi insieme della vita di Dio attraverso Gesù, il Figlio. La nostra vita cristiana e monastica è chiamata a questa partecipazione, come ci ricorda Pietro: noi siamo chiamati a «partecipare alla vita divina» (cf. 1Pt 2,4): e questo stare in disparte con Gesù il Signore, per conoscere la sua identità, ascoltarla e amarla è il cammino per partecipare alla vita di Dio in Cristo. Ecco perché sono stati i monaci in oriente e poi, alla fine del primo millennio, anche in occidente, a volere la festa della Trasfigurazione del Signore e a cercare in essa la fonte della loro vita spirituale.