Conférence de Iosif Bosch, évêque de Patara



 Unione dei cristiani: risultato della terapeutica dell’Amore

Abbiamo realizzato un percorso teologico magari lungo e monotono per arrivare a questa fase della riflessione. Per prima cosa è stato specificato un presupposto concettuale basilare la cui importanza è fondamentale in questa sezione.
All’inizio della riflessione ci siamo soffermati su Dio, poi sulla sua creazione, sulla chiesa, sulla vita spirituale, e adesso siamo approdati a questa “unità” che conferisce forse un senso a tutto quanto è stato esposto fin’ora; di fatto, tutto è stato esaminato in funzione di questa sezione.

I concetti chiave in tutto lo sviluppo della riflessione sono stati principalmente due:
• Amore (?ρως/?γ?πη)
• Unità (?νωσις, κοιν? ?νωσις, κοινων?α, unio, communio)

Questi due concetti hanno percorso trasversalmente tutte le tematiche che ci sono servite come sostegno teologico per arrivare a questo punto della nostra meditazione.

Il peso della riflessione, in questa sezione, ricade nuovamente sull’origine di essa: Dio. Dio: amore e unità. Possiamo pensare a una vita spirituale e ad una unità dei cristiani senza Dio? Ovviamente no. La domanda sembra senza senso. Tuttavia, mi permetto di chiedere ancora una volta: perché siamo divisi? Se Dio è amore e unità, allora perché i cristiani sono divisi? Se la chiesa è quella che abbiamo descritto -almeno nel suo aspetto più profondo e inclusivo- allora perché i discepoli di Cristo sono separati? E mi permetto di domandare: forse manca Dio?

Ovviamente Dio non manca nella creazione, e nemmeno nella chiesa. Dio, però, manca negli esseri razionali  -e liberi- che in virtù di quella libertá rifiutano oppure ignorano Dio. Manca, di conseguenza, la vita in Dio, la vita spirituale che abbiamo descritto.

Demitizzazione

La frammentazione del cristianesimo si realizza in quanto la concezione, la percezione e l’esperienza che abbiamo di esso lo riduce ad una religione o ad una filosofia, ad una ONG, ad una corporazione, o a qualsiasi altra categorizzazione che provenga dalla nostra limitazione , in quanto l’uomo terrestre concepisce ed esegue tutto in relazione al suo limite, a se stesso immerso nella sua miseria.

Il cristianesimo, però, è la rivelazione di Dio: in esso il mondo, la chiesa,  gli uomini e tutti gli esseri costituiscono un tutto organico e armonico che si relaziona multiformemente nell’identità e nella diversità. Sembra un’utopia. Ma non è così: è una realtà! Non la capiamo, o non vogliamo capirla.

Se si considera il cristianesimo una religione, è possibile la frammentazione; mentre se lo percepiamo -e soppratutto lo viviamo- come la rivelazione divina, come l’estasi erotica e salvifica di Dio, questa esperienza impedisce qualsiasi frammentazione dell’ essere umano che la riceve, perché, a differenza della pratica religiosa, il fattore divino si assimila all’umano cosicchè l`uomo si assimili al divino: il protagonista è Dio! Dio nell’uomo, l’uomo in Dio. Due termini inseparabili.

Ho detto bene: assimilare e vivere il cristianesimo in quanto tale. Non basta una definizione accademica. Il cristianesimo è molto di più: è la vita, l’amore, l’unità, la perfezione e trascendenza offerti a tutti da Dio. Questa vita che si basa sulla convinzione della fede come relazione con Dio non ammette divisioni, non ammette disgregazioni, non ammette il prefisso “anti” -?ντ?- o “contra”, ma piuttosto “in”, “verso”, “con”. In questa vita realizzata dal cristianesimo, la relazionalità è sempre positiva: infatti, come nella Trinità, vi è unità e molteplicità! E la molteplicità che si fa evidente nel “a/ad”, nel “verso”, nel “in”, non è nient’altro che positività, ricchezza, crescita, abbondanza.

Questo punto di vista, tuttavia, potrebbe essere giudicato come escludente: sembrerebbe che solo il cristianesimo sia la salvezza. Eppure, è la nostra fede, la nostra certezza; ma anche -e paradossalmente- in essa percepiamo e viviamo l’amore di Dio per tutti: in che modo, allora, il Dio Eros/Agape potrebbe escludere qualcuno dalla sua salvezza? La risposta è ovvia. Di conseguenza, l’apocalisse di Dio è dinamica e aperta a tutti; multiforme e multidimensionale si estende a tutto il creato; in conclusione, Dio fa ciò che vuole, come vuole, quando vuole e con chi Egli vuole.

Auto-referenzialità

Da questo punto di vista, l’unico punto di riferimento è Dio. Ecco di nuovo il paradosso: Dio nell’uomo, l’uomo in Dio. L’auto-referenzialità, quindi, appartiene solo a Dio, non alla creazione, nè alla chiesa, e nemmeno agli uomini. E torno all’inizio: Dio!

La vita spirituale è la vita in Dio, con Dio, per Dio, da Dio; e analogamente negli altri, con gli altri, per gli altri, dagli altri. L’auto-referenzialità esclusiva della creatura cessa, quindi, come è specificato in precedenza, quando il processo spirituale attraverso l’amore e la preghiera normalizza e ricostituisce la relazionalità dell’uomo. E se l’uomo ricostruisce quella multiforme relazionalità originale, allora iniziano a normalizzarsi anche le funzioni delle strutture che compongono la società: e la Chiesa ha anche la sua struttura e la sua istituzione. Questa relazionalità ricostituita posiziona correttamente l’uomo non piùdavanti” a Dio -come la religione- ma “in” (con, per,da) Dio; l’uomo in se stesso e negli altri e, senza dubbio nel mondo. In questo modo, l’auto-referenzialità nel creato è sempre relativa. Torniamo a Dio. In questo modo, nessuno può pretendere di essere punto di riferimento nel cristianesimo. Egli è la Via, la Verità e la Vita; nessun uomo, nè la Chiesa: Cristo solo!

Pregiudizio

Mentre l’uomo comincia a purificarsi e a guarirsi dalla “malattia della religione” ricostruendo la sua relazionalità con la preghiera e con l’amore, i pregiudizi su se stesso e sugli altri spariscono. A livello spirituale, i pregiudizi – negativi o positivi – sono il risultato del sistema noetico disgregato.
I pregiudizi causano divisione, causano tensione e, alla fine, distruggono. Una società unita nella diversità, come la chiesa, non ammette pregiudizi dell’uno verso l’altro, e mi chiedo: come si possa parlare di unità dei cristiani, se ancora non possiamo abbattere i pregiudizi dell’uno contro l’altro?

Priorità

Ecco perché questo cammino verso l’unità visibile dei cristiani presuppone il cammino verso Dio. Forse sembra inutile la frase precedente, ma spesso la lista di priorità degli uomini viene invertita: cerchiamo l’unità dei cristiani ma non cerchiamo Dio in primo luogo; cerchiamo giustizia, inclusione, eliminare la povertà, la violenza, e tutto questo va bene ed è lecito, ma perché non riusciamo? Perché ci dimentichiamo Dio.

La priorità è chiara: primo Dio! E ultimo Dio!: Cristo, Cristo, Cristo! E nel frattempo, tutto il resto. Infatti, se cerchiamo Dio e siamo in Lui, allora siamo nel prossimo, perché Dio non esiste senza l’altro! Senza l’ “alter ego” non c’è perfezione, non c’è comunione, non c’è chiesa; ma l’altro,  anche, è Cristo; tutti insieme siamo Cristo.

La priorità nella vita spirituale delle persone inizia essendo se stesso, ma quando il processo di assimilazione e di identificazione si sviluppa, l’identità si volge a Dio; a Dio e all’altro; a Dio che è in tutti e in tutto! Tutto il resto verrà sempre e ciò sarà conseguito quando la nostra volontà verrà assimilata a quella di Dio. La mia volontà è quella di Dio, e quella di Dio diventa mia.

Spiritualità Ecumenica

L’unità dei cristiani essenzialmente esiste, poiché la Chiesa è una; poiché Dio è uno: unità nella molteplicità; come nella Trinità. L’unione  visibile, tuttavia, è un processo che, secondo il mio punto di vista, fa parte della maturazione spirituale dei cristiani tutti, così come delle istituzioni di cui essi fanno parte.

L’unità visibile dei cristiani deve essere qualcosa di legittimo, non soltanto un’utopia, un’idea, un motto, un pio sentimentalismo, una politica religiosa o, nel peggiore dei casi, un business. E perchè ciò sia come dovrebbe essere, deve procedere da un processo spirituale legittimo, maturo e serio. Altrimenti sarà una strada dissestata, un vicolo cieco. Detto con altre parole: non si ottiene unità dei cristiani senza vita spirituale!

Sin dall’ultima Assemblea del Consiglio ecumenico delle chiese si parla della spiritualità all’interno del movimento ecumenico. È un progresso, credo,  in virtù delle iniziative delle diverse chiese ortodosse che durante un lungo tempo hanno sottolineato questo argomento.

Una spiritualità ecumenica? Penso che il termine sia ridondante. L’Imitatio Christi interpretata come processo di purificazione, illuminazione e glorificazione implica questa apertura. Non è necessario segmentare la vita nello Spirito; non è necessario limitarla ulteriormente. L’apertura è il risultato della relazionalità umana guarita, della ricettività spirituale ricostituita, dell’uomo riconfigurato a Cristo.

Libertà

Se vogliamo accedere all’unità visibile dei cristiani abbiamo bisogno di libertà e liberalità che derivano dalla cristificazione. Solo Dio è libero e liberale per eccellenza e ci trasmette quella realtà secondo la nostra ricezione dei progressi divini. E’ necessaria, quindi, la purificazione: la liberazione di se stessi o, meglio, dell’immagine che uno –e anche gli altri- hanno di se stessi; la facoltà noetica, prigioniera nel cervello, che cattura gli impulsi dell’ambiente facendoli propri del cuore. E’ necessario correggere questo sistema: ritornare a se stessi, trovare Dio dentro di noi, e di conseguenza negli altri: questo porta la libertà! Dio mi libera, l’altro mi libera.Se sono libero, quindi, non ho paura, e posso andare “verso” l’altro, vivere “con” l’altro, essere “nel-” l’altro. Unione -communio- nella diversità: l’unità visibile dei cristiani.

IOSIF BOSCH, vescovo di Patara
(delegato del Patriarca Bartolomeo di Costantinopoli,
vescovo ausiliare di Buenos Aires della metropolita del Patriarcato ecumenico)