La Parola che ci insegna a parlare


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Foto di NASA Hubble Space Telescope su Unsplash
Foto di NASA Hubble Space Telescope su Unsplash

3 gennaio 2025

Dal Vangelo secondo Giovanni - Gv 1,1-5 (Lezionario di Bose)

1 In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
2Egli era, in principio, presso Dio:
3tutto è stato fatto per mezzo di lui
e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
4In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
5la luce splende nelle tenebre
e le tenebre non l'hanno vinta.


La vita racchiusa nel Verbo, nella Parola vivente di Dio, “era la luce degli uomini”. Speriamo lo sia ancora! Facciamo in modo che lo sia ancora. Mettiamoci all’ascolto della Parola che ci insegna a parlare, conformiamo a lei le nostre vite e le nostre parole.

La Parola era Dio. Prima di essere veicolo per un messaggio, la parola è rivelazione di chi la pronuncia. Comunicare è comunicarsi, è dono di sé agli altri. Questa è la natura e la responsabilità della parola; responsabilità che disattendiamo ogni volta che pronunciamo una parola ipocrita, una parola che dice e non fa (Mt 23,3). La parola allora si perverte e da dono di sé diviene schermo di sé, come l’enorme ombra cinese di una piccolissima mano. 

La parola dovrebbe invece essere specchio di ciò che siamo o riflesso di ciò a cui tendiamo. La parola infatti ci chiama ad essere di parola, a colmare l’eventuale scarto che esiste tra ciò che essa dichiara e ciò che noi siamo. Non c’è altro modo di riscattarsi per una parola eccessiva che di farsi proposito. Così è stato per Dio che ha fatto “promesse più grandi di ogni suo nome” (Sal 138,2) – l’ha “sparata grossa” potremmo dire un po’ prosaicamente – ma poi non si è dato pace finché quella parola non è divenuta realtà: Dio si è fatto parola e la parola si è fatta carne. Così sia anche per noi.

In essa era la vita. La parola è autentica solo quando è vitale, quando vive e comunica vita, quando non si esaurisce in se stessa, non si bea del proprio eco. La parola in cui c’è vita è quella che non zittisce ma dà la parola. È domanda che interpella, è spunto che feconda, è parola ben scandita che passa gattonando dalle labbra della mamma a quelle attente del bambino.

In questa parola vera, coerente e che profuma di vita gli umani trovavano la loro luce, una luce che splende nelle tenebre. Nell’in principio descritto da Genesi quella prima parola “luce” irrompe nelle tenebre e dà loro un confine, è primo elemento d’ordine nel caos primordiale: la luce divenne giorno, le tenebre notte (cf. Gen 1,3-5). Ma questo non basta più. La luce della Parola ora splende, e continua a splendere, proprio in mezzo alle tenebre. Non c’è separazione: le tenebre non si ritirano e si guardano bene dall’accoglierla, ma nemmeno riescono a vincerla. La Parola si riveste dei veli tremuli di una candela. Una candela che non si consuma, ma consuma le tenebre

La Parola fatta carne che in questo tempo di Natale contempliamo nel suo sorgere: non si è data per vinta finché la notte (almeno una notte) non è divenuta “più chiara del giorno” (Lucernario per il tempo pasquale). Ora a noi di non lasciarci vincere dalle oscurità dentro e fuori di noi, di fare della parola di vita eterna la luce che ci insegna a parlare e a camminare come figli della luce.

fratel GianMarco


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