Primi custodi dell’amore
Fratelli, sorelle,
la nostra Regola prosegue dicendo:
“Ama costoro che Dio ti ha dato come primi custodi, allo stesso modo in cui Cristo ti ha amato fino alla fine” (RBo 2).
Più volte nella Regola risuona il comando di amare i fratelli, la comunità. È un appello insistito, ripetuto, quasi accorato, memore del fatto che il grande rischio, la vera catastrofe di una vita cristiana è il raffreddarsi e il venir meno dell’amore reciproco (cf. Mt 24,12). L’amore è la cosa veramente necessaria, il vero e unico fine della vita cristiana e dunque di una vita monastica cenobitica: tutto il resto, anche la liturgia, la lectio divina, l’ascesi, è strumento e mezzo. I fratelli e le sorelle da amare sono i nostri primi custodi, dice la Regola facendo eco a Genesi 4 e al rifiuto di Caino di porsi come custode del fratello Abele. L’amore ci rende responsabili dei nostri fratelli, loro custodi, ed è ciò che ci preserva dalla violenza, che è sempre in agguato, anche in una vita monastica. Anzi, chi non ama il proprio fratello, dice Giovanni nella sua prima lettera, in realtà uccide, toglie vita.
E amare, in una vita comunitaria che richiede di differenziare i rapporti con le diverse persone, comporta una quantità di azioni e attenzioni sempre da misurare e modulare con discernimento con ciascuno. Ma certo esso sempre comprende: ascoltare, rispettare, attendere i tempi dell’altro, perdonare, disporsi a sempre ricominciare, dare tempo, stare accanto, pazientare, non giudicare. E poi comprende il pregare per gli altri, soprattutto quando non li sopportiamo, quando siamo tentati di odiarli o li vediamo come nemici: “Amate i vostri nemici, pregate per coloro che vi trattano male” (Lc 6,27-28). Anzi, se amare è astenersi dal dare la morte, in verità esso comporta come misura estrema ma quotidiana, il dare la vita. Il criterio di misura del nostro amare è posto dalla Regola nell’amore con cui Cristo ci ha amati fino alla fine, fino alla morte.
Non dovremmo dimenticare questa misura evangelica dell’amare, perché noi spesso fermiamo molto presto tale misura: al primo screzio, al primo torto ricevuto, alla prima parola ritenuta offensiva ricevuta, e giudichiamo questo come sufficiente per farci chiudere per sempre i rapporti con l’altro. E non dimentichiamo neppure che questo dare la vita è evento quotidiano: è dare tempo e presenza agli altri, e il tempo è la nostra vita e presenza è la nostra persona. Perciò, fratelli e sorelle, siamo sobri e vigilanti, perché il nostro Avversario, il Divisore, come leone ruggente si aggira cercando una preda da divorare. Resistiamogli saldi nella fede e perseveranti nell’amore fraterno. E tu, Signore, abbi pietà di noi.