I monaci di Bose nella pieve di Cellole


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Nell’omelia il Vescovo diocesano ha avuto parole di paterna accoglienza e vivissima gioia per questa nuova fraternità monastica, fortemente attesa e desiderata, manifestando ai monaci tutta la fiducia sua e della Chiesa volterrana e incoraggiandone il cammino monastico di sequela del Signore.

Ha colpito la cerimonia semplice ed essenziale, attenta specialmente alla liturgia, all’accoglienza, alla gratitudine. E anche questo è sembrato un primo indicatore di percorso.

Rivedere restaurati e rianimati da presenze stabili quegli ambienti che costituivano la canonica di Cellole e l’abitazione del contadino e soprattutto ammirare quella Pieve, vero gioiello dell’arte romanica, dedicata a Santa Maria Assunta, ma erede di precedenti edifici di culto risalenti addirittura all’anno 1000, intitolati a San Giovanni Battista e poi a Sant’Ilario, tornata ad essere crocevia di pellegrini e di cercatori di Dio, ha aperto davvero il cuore alla speranza.

Quel luogo, che nel 1200 ebbe un ruolo importante anche nella vita civile della zona e fu sede di un lebbrosario, lo abbiamo rivisto illuminato di un nuovo splendore. È una lunga storia che rinasce, nella memoria di una fede secolare e di tanti semplici uomini e donne. Di Bartolo Buonpedoni da San Gimignano, «il Giobbe della Toscana», che nel 1300, con letizia francescana, qui spese la sua vita «in una carità vicendevole, umile e povera verso i malati, i pellegrini, i fratelli e le sorelle senza distinzione di sorta». Fino a don Serafino Cantini, ultimo prete residente, alla cui stagione è legata l’esperienza dei Campi scuola diocesani e di qualche parrocchia di Milano.

Il 7 aprile la Comunità di Bose ha ricominciato a tessere a Cellole uno dei tanti fili della sua storia millenaria, come accennava anche il sindaco Bassi nel suo indirizzo di saluto, argomentando le parole «benvenuti» e «grazie per quello che già avete fatto e quello che farete». Ma lo aveva già bene annunciato anche il priore Bianchi nel suo saluto per il settimanale diocesano di Volterra, e lo ha ribadito, indicando lo scopo e la missione di questa fraternità. Ha infatti chiesto di pregare affinché la piccola comunità cerchi «di vivere il vangelo nella comunione con tutti i cristiani e nella compagnia degli uomini... e tenti di rinnovare il grande, ultimo e definitivo comandamento lasciatoci da Gesù».
Un bel programma e un bell’impegno. Anzi un bel servizio. Offerto con umiltà e semplicità, con lealtà e letizia non solo alla chiesa volterrana ma a tutta la Toscana. Che si concretizzerà, secondo la Regola di Bose, non in «un servizio ministeriale», ma piuttosto in esperienze e gesti di vita fraterna, di preghiera, di lavoro, di studio, di accoglienza e di dialogo con tutti,  compreso quello ecumenico e interreligioso. Per diventare nel tempo, secondo gli auspici del Vescovo diocesano, «punto di riferimento» per la vita e la testimonianza cristiana. Un’occasione nuova per riscoprire la bellezza della fede, la gioia di compiere il bene, l’immensità della misericordia di Dio. Insomma un’occasione in più per vivere il Vangelo, testimoniando la differenza cristiana.