Vendredi saint
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Giovanni è molto attento nel descrivere l’innalzamento di Gesù. Gesù dal giardino oltre il Cedron è stato fatto salire in città, nella casa del sommo sacerdote. Poi è stato ancora portato più in alto da Pilato, nella fortezza Antonia. Pilato lo fa poi sedere addirittura in quello che era il luogo alto per eccellenza, chiamato appunto in ebraico gabbatà, «luogo alto», luogo del giudizi. Infine Gesù è condotto alla collina del Golgota, più alta del tempio e di Gerusalemme, dove viene crocifisso ma attraverso un innalzamento su un palo, in mezzo a due altri condannati. Materialmente dunque c’è un innalzamento, ma un innalzamento che è passione, degradazione umana, che è uno scendere nell’abisso della sofferenza e dell’infamia. Di fatto, però, Giovanni legge in questo essere posto sempre più in alto fino ad avere la posizione centrale tra due malfattori, la posizione del Signore, legge il Kýrios innalzato da terra. E per questo lui annota che quel cartello posto da Pilato lo proclama, non è la causa della morte di Gesù; è il titolo che dice che è lui il Re di Israele, il Messia.
Ecco, agli occhi del quarto vangelo – ma Giovanni vuole indicarci ciò che noi dovremmo comprendere sempre nella passione – c’è l’innalzamento e la glorificazione di Gesù, anche se questa coincide con un’agonia, con un’atroce sofferenza. Attenzione: Giovanni non elimina lo scandalo della sofferenza, non ci vuole consegnare, come faranno gli gnostici, un Gesù la cui l’umanità è totalmente assorbita dalla sua qualità divina. No, Giovanni racconta la passione di Gesù come quella di un uomo, in tutto uguale a noi, un uomo sofferente; mette in luce i patimenti di Gesù, tradito nella menzogna da uno dei dodici, misconosciuto da Pietro, abbandonato dagli altri. Dice con molta precisione, più dei sinottici, che Gesù è stato schiaffeggiato, flagellato, incoronato addirittura di una corona fatta di rami spinosi. Giovanni ci mette davanti un Gesù flagellato, deriso, incoronato di spine, un uomo senza volto. E significativamente solo Giovanni fa dire a Pilato: «Ecco l’uomo!», nient’altro che un uomo, l’Adamo. Nulla è occultato della sofferenza di Gesù, non c’è davvero nessun docetismo, nessun tentativo di rimuovere la sofferenza umana.