Discorso di apertura

 

XXX Convegno ecumenico internazionale di spiritualità ortodossa
BASILIO IL GRANDE, MAESTRO DI VITA CRISTIANA

30° International Ecumenical Conference on Orthodox Spirituality
BASIL THE GREAT, TEACHER OF CHRISTIAN LIFE

Monastero di Bose, 3-6 september 2024
in collaboration with the Orthodox Churches

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3 settembre 2024
di Sabino Chialà

Cari fratelli e sorelle in Cristo,
metropoliti, vescovi, monaci e monache, amici e ospiti,

è con gioia grande che, a nome dei fratelli e delle sorelle di Bose e mio personale, vi do il benvenuto alla trentesima edizione del nostro Convegno Ecumenico Internazionale di Spiritualità Ortodossa. Trent’anni sono un breve lasso di tempo, se paragonati ai grandi cicli della storia, ma nel quotidiano di noi esseri umani sono significativi, perché dicono una fedeltà che non è mai scontata e per la quale è necessario rendere grazie.

Grazie al Signore innanzitutto che sa comporre le nostre vicende, segnate anche dal peccato e dall’insensatezza, in un tessuto di comunione che ci stupisce. Grazie a ciascuno dei presenti e ai tanti che in questi trent’anni hanno contribuito, con la loro dedizione e la loro passione, a rendere possibili i nostri incontri. Tra i tanti, vorrei ricordare in particolare coloro che ci hanno preceduto presso il Padre.

Ne nomino sono due, per ragioni di brevità. La prima è Nina Kauchtschischwili (+ 2010), alla quale dobbiamo l’inizio dei nostri convegni, nel 1993, quando chiese alla nostra Comunità di ospitare un convegno da lei organizzato su “San Sergio e il suo tempo”: così prese avvio la nostra avventura. Il secondo, è Christos Yannaras, amico e assiduo frequentatore dei nostri convegni, tornato alla casa del Padre solo pochi giorni fa, e che vogliamo ricordare in seno al Signore della vita.

In occasione di tale ricorrenza abbiamo pensato di dedicare il nostro convegno alla figura di San Basilio il Grande. La scelta è stata guidata da almeno tre ragioni che vorrei condividere con voi. La prima è che Basilio, più di altri, è avvertito come un padre comune alle Chiese d’Oriente e d’Occidente, parte di quell’identità condivisa che nessuna divisione è riuscita a cancellare del tutto. La seconda ragione è l’importanza che egli ha avuto e ancora ricopre nel vissuto della nostra Comunità, che in lui ha trovato fin dall’inizio un validissimo ispiratore per il suo cammino di ricerca di una vita monastica rinnovata per l’oggi. Infine, decisiva nella scelta è stata l’intuizione del fatto che la sua figura, il suo pensiero e il suo operato abbiano molto da dire nel momento storico che il mondo e le Chiese attraversano. Momento caratterizzato da tensioni e guerre di ogni genere, che in questi giorni vogliamo custodire nel cuore e nella preghiera: la tanto martoriata Ucraina, i popoli del Medio Oriente (Gaza, Siria, Libano), gli abitanti del Nagorno Karabak… e tutte le vittime che, a vario titolo, ogni folle guerra produce.

In questo nostro mondo, Basilio ci viene incontro innanzitutto come credente… invitandoci ad accogliere dalle sue mani quel tesoro che, una volta scoperto, egli non ha più abbandonato: le Sante Scritture, che per lui hanno costituito la “regola” cui sempre ha cercato di conformarsi. Egli, come sappiamo, non diede il nome di “regole” (hóroi) agli scritti giunti a noi sotto questo nome (Regole lunghe e Regole brevi), ma ai Moralia, che altro non sono se non una lunga catena di citazioni bibliche. Questo per ricordare che “regola” per il credente è la Scrittura.

Peraltro egli attribuisce la sua conversione all’incontro con il Vangelo, come afferma nella Lettera 223, dove, dopo aver rievocato gli anni della giovinezza trascorsi a inseguire la gloria mondana, aggiunge: “Infine un giorno mi svegliai come da un sonno profondo e guardai verso la luce meravigliosa della verità del Vangelo” (Lettere 223,2).

La frequentazione delle Scritture fu per lui determinante in ogni aspetto della sua esistenza e attività. E si è rammaricato se in alcuni casi ha dovuto discostarsi dalle Scritture per combattere le eresie, come afferma nel Prologo sulla fede e conclude:

Ma ora, per il comune scopo nostro e vostro, ho ritenuto opportuno adempiere il comando della vostra carità in Cristo con la semplicità della sana fede, dicendo ciò che ho appreso dalla Scrittura ispirata, ed evitando l’uso di quei nomi e di quelle parole che non sono contenute letteralmente nella divina Scrittura, anche se hanno lo stesso significato.

Suo desiderio è conformarsi, fin nelle parole, alle Scritture, e cercare lì i tratti e le espressioni della fede che ha insegnato e difeso con i suoi scritti. È questa assiduità con la Scrittura che lo ha reso “maestro di vita cristiana”, come lo abbiamo indicato nel titolo del nostro convegno.

“Cristiano” è certamente l’aggettivo che Basilio ha più amato e difeso nei suoi scritti. Cristiani sono - e sono chiamati ad essere! - vescovi e monaci, uomini e donne, in obbedienza a quel nome che fu dato ai credenti in Gesù Cristo ad Antiochia, secondo la testimonianza degli Atti degli apostoli. Anche quando si rivolge a coloro che vivono nei monasteri - che egli chiama “fraternità (adelphótes)” – Basilio pensa a loro come a dei “cristiani” e a questo li esorta. Il monachesimo, la vita di ascesi, come ricorda nella Lettera a Teodora, per lui non è altro che una “vita evangelica (euanghelikós bíos)” (Lettere 173). Nulla di più e nulla di meno.

L’opera pastorale di Basilio è poi a tutto campo, pur nella brevità della sua esistenza (morì a 49 anni). Ogni aspetto della vita umana è per lui un appello a cui sente di non potersi sottrarre. Aveva desiderato vivere nella quiete monastica e, per qualche tempo, aveva potuto soddisfare quel desiderio, nella proprietà di famiglia ad Annesi, accanto al cenobio iniziato dalla sorella Macrina, seguendo l’esempio di Eustazio di Sebaste e, per un tempo, anche in compagnia dell’amico di una vita, Gregorio. Ma i bisogni di una chiesa e di una società attraversate da profonde crisi e tensioni, lo avevano chiamato altrove e Basilio non si era sottratto.

Prima da presbitero e soprattutto durane i nove anni di episcopato, egli s’impegnò così nella riflessione teologica, in difesa della fede di Nicea e della divinità dello Spirito santo, ponendo le basi di quanto sarà poi definito nel Concilio di Costantinopoli del 381. La difesa della fede nicena gli procurò l’avversione dell’imperatore d’Oriente, Valente, fedele all’arianesimo. Misurò così il peso e il rischio che comportano le alleanze con il potere politico. D’altra parte, la difesa della divinità dello Spirito santo gli fece assaporare un altro amaro calice: la rottura con colui che era stato il suo maestro, Eustazio, schieratosi nelle fila dei pneumatomachi.

Altra sua grande preoccupazione fu la cura dei poveri e dei bisognosi. Una dura carestia che si abbatté sulla Cappadocia mentre era vescovo di Cesarea, gli offrì l’occasione per constatare con amarezza il fallimento della solidarietà cristiana. I ricchi proprietari terrieri, benché cristiani, si rifiutavano di accogliere e di soccorrere chi moriva di fame. Basilio reagì, secondo il suo solito, con l’azione e con la parola. Organizzò un luogo di accoglienza alle porte di Cesarea; luogo che, in suo onore, sarà poi chiamato “Basiliade”. Parallelamente cercò di muovere a compassione i ricchi, pronunciando alcune delle sue omelie più infuocate, in cui mostrò l’insensatezza del loro comportamento, assomigliandoli a coloro che “hanno preso posto a teatro e vogliono poi impedire l’accesso a quelli che desiderano entrare, ritenendo riservato a loro soli ciò che è offerto a tutti”. E continua: “Essi si accaparrano i beni di tutti, se ne appropriano per il fatto di essere arrivati per primi. Se ciascuno si prendesse ciò che è necessario per il suo bisogno, e lasciasse il superfluo al bisognoso, nessuno sarebbe ricco e nessuno sarebbe bisognoso” (Omelie 6,7).

Basilio sa che con la sua attività caritativa è di turbamento per l’ordine pubblico, ma non teme di attirarsi, anche per questo, le ire dell’imperatore, e ribatte a chi cerca di fermarne l’azione: “A chi rechiamo offesa edificando luoghi di accoglienza per gli stranieri, che siano di passaggio o che abbiano bisogno di qualche cura a causa della salute malferma? A chi rechiamo offesa procurando a costoro il necessario conforto?” (Lettere 94). Il vedovo di Cesarea misura così il carattere eversivo della carità, nella misura in cui essa mette in crisi gli equilibri dei sistemi socio-economici.

In tutte queste vicende emergono quelli che mi paiono essere i due tratti peculiari di questa personalità così ricca e complessa: la parresia (vale a dire la libertà di parola e di azione); e la passione per l’unità della Chiesa e tra le Chiese. Due tratti che potrebbero apparire antitetici ma che, nella complessa personalità di Basilio, operano sinergicamente.

Basilio appare innanzitutto un uomo libero, che non cerca la pace nel compromesso. Nelle sue vicende affiora spesso il tratto della parresia, che a volte s’intreccia con un carattere forte e non di rado autoritario.

Parresia che mostrò nei confronti di colui che era stato il suo maestro, Eustazio, dal quale prende le distanze – certo con profonda sofferenza! – allorché lo vede contraddire la comune fede di un tempo.

Parresia nei confronti del potere politico, al quale non svende nulla dell’integrità della fede sua e della Chiesa a lui affidata, rifiutandosi di cedere a vili calcoli di convenienza, che certo avrebbero recato vantaggi. È rimasta celebre la sua risposta al prefetto del pretorio d'Oriente, Modesto, il quale gli avrebbe detto: “Mai nessuno mi ha parlato con una simile libertà (parresía)”; e Basilio: “Si vede che non hai mai incontrato un vescovo!” (Gregorio di Nazianzo, Discorsi 43,50).

Il cristianesimo, uscito da poco dalla morsa di un potere politico avverso, cominciava a confrontarsi con un’altra forma di persecuzione, più subdola ma non meno dannosa per la libertà e l’unità della chiesa: la strumentalizzazione. Basilio riconosce questa nuova forma di persecuzione, e resiste!

Ma quella sua libertà non è fine a se stessa. È orientata a quella che fu la grande passione di Basilio: l’unità delle Chiese intorno alla fede autentica. Emerge spesso nei suoi scritti la sua sofferenza per le tensioni che lacerano le Chiese, in particolare quelle d’Oriente, causate dalle ragioni più varie: antipatie personali tra i pastori, intromissione del potere politico, vili interessi mondani… magari rivestite da più nobili motivazioni... Scrive in una lettera: “Alcuni hanno escogitato quale arma nella guerra degli uni contro gli altri la difesa dell’ortodossia, e così camuffano le loro inimicizie personali, fingendo di combattersi a motivo della fede” (Lettere 92,2). E ancora: “Invenzioni di uomini hanno diritto di cittadinanza nella Chiesa. Ormai gli uomini fanno della tecnologia, non della teologia” (Lettere 90,2).

La sua sofferenza è resa ancora più amara dal silenzio delle Chiese sorelle d’Occidente, cui Basilio indirizza varie lettere, per chiedere il loro intervento. Lettere che resteranno per lo più senza risposta o con una reazione del tutto sproporzionata.

Si avverte in tutto questo la profonda passione per unità che travaglia il cuore di Basilio e l’impegno delle sue forze migliori nell’opera della pacificazione, come scrive a Eusebio di Samosata:

Non ho ancora potuto mostrare degnamente, con i miei atti, il mio ardore per la pacificazione delle Chiese del Signore, ma dichiaro che ne ho un tale desiderio nel mio cuore che sacrificherei volentieri persino la mia vita purché si spegnesse il fuoco dell'odio appiccato dal Maligno ... Sì, io cerco la pace autentica, quella che il Signore stesso ci ha lasciato (Lettere 128,1).

Parresia nel difendere la libertà della Chiesa e passione nella ricerca della sua unità sono un tutt’uno nel pensiero, nell’insegnamento e nell’azione di Basilio: libertà e unità procedono insieme, ci ricorda il vescovo di Cesarea. Una grande provocazione, quanto mai attuale ancora per noi oggi!

Ma non è tutto… egli non si accontenta delle cause manifeste della situazione penosa in cui versano le Chiese del suo tempo. Vuole andare a fondo. Oppresso dallo spettacolo delle tensioni in atto, s’interroga e, a un tratto, proprio la Scrittura – e non è un caso! – gli indica la via. Ascoltiamo questo passo, tra i più celebri:

Mi venne in mente il libro dei Giudici ... In quei giorni non c'era re in Israele. Ricordandomi di queste parole, pensavo la stessa cosa a proposito degli avvenimenti presenti, il che è forse terribile e strano a dirsi, ma è verissimo, se ci si pensa: [mi chiesi] se anche ora tale discordia e lotta fra coloro che sono nella Chiesa, non sia provocata dal disprezzo per l'unico e grande, vero e solo re di tutti; ciascuno infatti si distacca dall'insegnamento del Signore nostro Gesù Cristo, rivendicando di propria autorità pensieri e regole proprie, e preferendo di sua autorità dare comandi in opposizione al Signore piuttosto che riceverli da lui (Il giudizio di Dio2).

Ecco la chiave per comprendere e anche la via per porre riparo alla divisione: ritornare all’unico vero re, all’unico vero Signore. Ciò che genera la divisione è la perdita di un sincero riferimento all'unico pastore di tutti. C’è una sola via per ritrovare l’unità: ritornare al Signore, riconoscendo lui – e non altri – come l’unico Signore di tutti. Un messaggio per oggi, in un mondo e per Chiese cristiane lacerate! Quale via percorrere per operare a favore della pace? Non ci sono strategie efficaci al di fuori del ritornare tutti all’unico Signore: questo è il messaggio di Basilio!

L’unità desiderata da Basilio non è una qualsiasi unità: è quella in Cristo, la sola durevole, perché ben fondata. Se costruita su altre fondamenta, anche l’unità può diventare idolatria. Può diventare alleanza dei forti… Non si tratta di unirsi su valori o ideali, fossero anche i più sacrosanti, ma solo su Cristo e sulla fede in lui. Se i cristiani sono divisi, dice Basilio, è perché hanno rinnegato il loro unico Capo. Se vogliono ritrovare l’unità – a qualsiasi livello – è a lui che devono ritornare.

A questo punto, non mi resta che lasciare la parola ai validi studiosi cui abbiamo chiesto di condurci nella conoscenza del pensiero di questo grande testimone della fede. Ad essi va il mio e nostro ringraziamento, per i contributi che ci vorranno offrire.

Rivolgo un ringraziamento speciale anche ai rappresentati delle varie Chiese che saranno tra noi in questi giorni. Li voglio ricordare, affidando a ciascuno il nostro “grazie” per le Chiese che rappresentano.

In rappresentanza del Patriarca Ecumenico di Costantinopoli, Bartholomeos, avremo con noi il Metropolita Job di Pisidia, che è anche copresidente della Commissione mista di dialogo tra la Chiesa ortodossa e la Chiesa cattolica; e dall’Arcidiocesi ortodossa d’Italia, avremo il Vescovo Athenagoras di Terme, amico e fedele frequentatore dei nostri convegni. Il Patriarcato di Mosca è rappresentato dal vescovo di Caffa, Petru. E abbiamo con noi anche un rappresentante della Chiesa russa fuori frontiera, il vescovo di Londra e dell’Europa Occidentale, Irineij, che ci farà dono di una relazione.

Il Patriarcato di Serbia è rappresentato dal vescovo di Buenos Aires e del Sud America, Kirilo; e insieme a lui accogliamo, dalla medesima Chiesa, il vescovo dell’America occidentale, Maxim, che ci farà dono di una relazione. Il Patriarcato di Romania è ufficialmente rappresentato dal vescovo Atanasie di Bogdania, della diocesi d’Italia.

La Chiesa di Grecia è rappresentata dall’archimandrita Amphilochios Miltos, della metropoli di Volos, delegato del Santo Sinodo di Grecia, che ci farà anche lui dono di una relazione. La Chiesa di Albania è rappresentata dal vescovo Asti di Bylis, delegato dell’arcivescovo Anastasios, di cui conserviamo un caro ricordo della visita resagli qualche mese fa. La Chiesa ortodossa di Polonia è rappresentata dall’igumeno Pantelejmon Karczewski. Ed è tornato a trovarsi anche il vescovo Melchisedek di Pittsburgh, della Chiesa Ortodossa d’America.

Ci rallegriamo particolarmente anche per la presenza di rappresentati delle Chiese Ortodosse Orientali: il patriarca copto ortodosso Tawadros, papa e patriarca di Alessandria, ci ha inviato un suo messaggio tramite il monaco Markos del monastero di San Macario. Il catholikos della Chiesa armena di Etcmiadzin, Karekin II, è rappresentato da p. Andreas Yezekyan, accompagnato da p. Sevak Saribekyan. Abbiamo anche un rappresentante della Chiesa Etiopica Ortodossa Tawahedo, p. Daniel, e un rappresentante della Chiesa Assira d’Oriente. Ritroviamo con gioia anche il caro amico, il canonico Hugh Wybrew, della Chiesa d’Inghilterra.

Per la Chiesa cattolica, oltre al nostro vescovo, Roberto Farinella, avremo la gioia di accogliere in questi giorni il Cardinale Claudio Guggerotti, Prefetto del Dicastero per le Chiese Orientali e membro della Commissione di dialogo tra Chiesa cattolica e Chiesa ortodossa. Salutiamo anche e ringraziamo per la sua presenza, mons. Andrea Palmieri, che rappresenta ufficialmente il Dicastero per la promozione dell’unità dei cristiani.

Ci rallegriamo anche perché, come lo scorso anno, sono numerosi i membri di monasteri e comunità religiose appartenenti a varie Chiese d’oriente e d’occidente: dalla Siria (Monastero di S. Giorgio, Saydnaya, del Patriarcato greco-ortodosso di Antiochia); dalla Grecia (Monastero di Xenophontos, sul Monte Athos, e Monastero della Panagia ton Vryoulon); dalla Romania (Skit Buna-Vestire); dalla Germania (Fraternità della Vergine del Segno, di Regensburg); dall’Egitto (Monastero di San Macario); dal Libano (Ordine Basiliano); dalla Francia (Comunità di Taizé, Comunità di Bethléem, Monastero di Martigné-Briand e Monastero di Chevetogne); dalla Corea del Sud (Abbazia di Waegwan); dall’Italia (Monastero ortodosso del Pantocratore, Comunità Benedettine di Santa Giustina, Dumenza, Isola di San Giulio, Clarisse di Bergamo e di Sant’Agata Feltria, Piccola Famiglia dell'Annunziata, Fratelli contemplativi di Gesù, Convento barnabita di S. Maria al Carrobiolo).

Grazie a voi tutti che avete voluto essere con noi in questi giorni. Il Signore ci conceda giorni di pace e di comunione, in ascolto di questo grande testimone della fede e appassionato cercatore della concordia tra le Chiese.