La buona notizia del regno di Dio

Carta realizzata presso la fraternità di Civitella san Paolo (RM)
Carta realizzata presso la fraternità di Civitella san Paolo (RM)

20 settembre 2024

Lc 8,1-3

In quel tempo1 Gesù se ne andava per città e villaggi, predicando e annunciando la buona notizia del regno di Dio. C'erano con lui i Dodici 2e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità: Maria, chiamata Maddalena, dalla quale erano usciti sette demòni; 3Giovanna, moglie di Cuza, amministratore di Erode; Susanna e molte altre, che li servivano con i loro beni.


Gesù annunciava la buona notizia del regno di Dio (v. 1). Gesù non annunciava sé stesso, ma annunciava il regno di Dio, e lo annunciava come buona notizia. Ci crediamo oggi? Molti sono i passi nei vangeli in cui la felicità dell’uomo oggi è posta in relazione al regno di Dio, ma in questo nostro tempo queste parole forse sembrano strane, suonano quasi fuori luogo, per non dire incomprensibili. Molte sono le dinamiche che si incrociano intorno a questa parola del Regno: è futuro o presente? O entrambi? Vi entreranno solo alcuni o tutti? Coincide con una forma storicamente data o è indipendente da essa? È una realtà che il credente può contribuire a realizzare o è puro dono di Dio? E in quale rapporto esso sta con la realtà storica della chiesa? Coincide con essa o la sovrasta? E in quale relazione la realtà del regno di Dio sta con il dono dello Spirito santo? E con la persona di Gesù?

I percorsi teologici che si aprono sono dunque molteplici, e non intendo qui affrontarli. Desidero in questa sede porre l’accento solamente su due aspetti: il fatto che Gesù predicava questo “regno di Dio”, di cui probabilmente le gente del suo tempo doveva per lo meno avere qualche nozione, perché altrimenti Gesù non lo avrebbe annunciato dappertutto, poiché i suoi ascoltatori non avrebbero capito le sue parole; e poi che lo annunciava come una buona notizia, come un “evangelo”, termine che in greco vuol dire, appunto, “buona notizia”.

Gesù doveva parlare spesso del regno di Dio, doveva essere una parola che aveva spesso sulla bocca, forse addirittura il centro della sua predicazione, se addirittura uno che non era suo discepolo, ma che era un malfattore, insieme a lui crocifisso, è proprio e solo in riferimento a questo “regno” che sulla croce si rivolge a lui, definendolo come il “suo regno”: “Gesù, ricordati di me quando verrai nel tuo regno” (Lc 23,42). Un regno che era di Dio, ma un regno che la gente e i discepoli avevano imparato a percepire anche come un regno di Gesù (cf. Lc 22.28-30).

Regno strano, e comunque regno, tanto che anche i soldati che lo avevano crocifisso lo insultano proprio quale re dei giudei che “non può salvare se stesso” (cf. Lc 23,37). Non solo, ma la qualità teologica di questo regno non solo non era del tutto chiara per gli astanti, ma non è stata ben compresa neanche dai discepoli di Gesù, e questo non soltanto durante il suo ministero terreno (cf. Lc 22,24-27), ma anche dopo che la sua resurrezione, la quale pure lo aveva rivelato come Signore, al punto che, vedendolo risorto, essi gli chiedevano se fosse finalmente giunto il momento in cui avrebbe ricostituito il regno di Israele (cf. At 1,6), continuando dunque a identificare il regno di Gesù con una precisa realtà storicamente definita, vale a dire con la ricostituzione del regno dell’Israele storico.

Ma allora dove era andata a finire tutta la predicazione di Gesù? Quale effetto aveva avuto? Era stata del tutto inutile? Era stata un completo fallimento? E il prezzo che Gesù aveva pagato per rimanere fedele a questo annuncio, la sua morte in croce, era stato vano?

Questo suo annuncio ci solleva domande. Ma forse accettare questo è già il primo passo per aprirci ad ascoltare, da lui, una risposta.

sorella Cecilia