Presagi di resurrezione

Unsplash
Unsplash

18 gennaio 2025

Mc 2,13-17

In quel tempo 13Gesù uscì di nuovo lungo il mare; tutta la folla veniva a lui ed egli insegnava loro. 14Passando, vide Levi, il figlio di Alfeo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì.
15Mentre stava a tavola in casa di lui, anche molti pubblicani e peccatori erano a tavola con Gesù e i suoi discepoli; erano molti infatti quelli che lo seguivano. 16Allora gli scribi dei farisei, vedendolo mangiare con i peccatori e i pubblicani, dicevano ai suoi discepoli: «Perché mangia e beve insieme ai pubblicani e ai peccatori?». 17Udito questo, Gesù disse loro: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori».


Il brano odierno di Marco comprende due episodi legati da un’unica narrazione che, al cuore di questo capitolo secondo del vangelo, custodisce un tesoro di grande sapienza spirituale.

Gesù, vedendo Levi, lo invita alla sequela e viene subito accolto nella sua casa. L’immediata adesione all’appello di Gesù rappresenta quindi l’origine del movimento che anima l’intera sequenza, perché tutto poi si svolge con estrema naturalezza e spontaneità. Gesù può chiamare chiunque alla sua sequela e chiunque cerchi un posto alla sua tavola è ben accetto.

Solo adesso notiamo il brusìo di fondo delle mormorazioni di quegli scribi e farisei che scrutano e criticano la poca cautela di Gesù nella scelta dei commensali. A questo punto è lui a dover spiegare chiaramente che la comunione fondata solo sul rispetto di norme vigenti si preclude l’apertura all’insorgere di nuovi scenari. È il cambiamento di sguardo sul bisogno dell’altro a forgiare l’animo comunitario dei veri discepoli di Gesù.

Ecco l’orizzonte intravisto da Levi, di cui solo l’evangelista Marco rivela la storia completa riferendoci il suo patronimico di “figlio di Alfeo”. Ogni dettaglio diventa importante se accogliamo gli altri nella loro diversità e in questo brano è proprio Gesù a creare questa possibilità con una serie di gesti e di parole che per la loro forza dirompente ne determineranno la condanna a morte (cf. Mc 3,6).

Gesù ha già dovuto rinunciare a frequentare pubblicamente la sua gente (cf. Mc 1,45), ora deve anche sciogliere il silenzio che avvolge le speranze di un paralitico oppresso dal suo male, di un esattore sprofondato dietro il banco delle imposte, di un uomo dalla mano inaridita tenuto nell’ombra dalla sua stessa comunità sinagogale. 

Ogni persona su cui Gesù posa lo sguardo in questi incontri non proferisce parola. È Gesù a dar loro di nuovo una speranza semplicemente con la sua presenza e le sue parole che rianimano l’inerte silenzio della realtà sempre uguale a sé stessa. Gesù infatti torna “di nuovo” in Galilea, perché le sue prime guarigioni hanno solo inaugurato i tempi messianici che devono ora essere svelati nella loro pienezza e cioè con la nuda forza delle sole parole.

Con le parole Gesù infatti cura le malattie, perdona i peccati, ricrea tutto come il “vino nuovo in otri nuovi”. Gesù nel silenzio inerte della Galilea rinnova con gesti autorevoli la Creazione che attende redenzione. Ogni terra cioè può rinascere al suono della parola di Dio di cui Gesù ha fatto intendere il suono autentico.

Marco con una narrazione spedita e quasi sfuggente ci consegna quindi due criteri per decifrare tutto il suo Vangelo. Di Levi si dice che per seguire Gesù si decide a “risorgere” dalla sua situazione di burocrate del denaro. È questo l’effetto delle parole di Gesù su di lui, quasi un primo annuncio della fede nella resurrezione.

Inoltre la Galilea è il luogo in cui tutto questo deve avvenire finché non giunga a compimento l’intero Evangelo. Alla tomba vuota di Gesù infatti le donne discepole udranno proprio queste parole dalla bocca dell’angelo: “Egli vi precede in Galilea, là lo vedrete!”.

La parola di Gesù è efficace ancora oggi là dove la si lascia risuonare e può riavvicinare il Regno di Dio a ogni nostra Galilea.

fratel Norberto